PSICOMOTRICITA'… DAPPERTUTTO!

07-10-19

Sara Accorsi, Psicomotricista

Negli asili nido, nelle scuole d’infanzia, nella scuola primaria, presso associazioni sportive e in ambito sanitario: la psicomotricità è presente ormai in tutti i contesti in cui il bambino è protagonista.

Occorre però far chiarezza e comprendere che, sebbene venga utilizzato il termine Psicomotricità come denominatore comune, questo non significa che nei contesti sopracitati si possa ritrovare la stessa modalità di approccio al bambino: cambiano infatti lo spazio e il tempo, gli operatori coinvolti, gli obiettivi e gli strumenti utilizzati e, non ultimo per importanza, il bisogno evolutivo del bambino a cui si vuole dare risposta.

Facendo un passo indietro alle origini della Psicomotricità, essa nasce in Francia agli inizi del ‘900, in ambito clinico; le prime fondamentali ricerche metteranno in chiara evidenza il legame esistente tra fattori relazionali e motori nel processo evolutivo del bambino. Negli anni ’80 nascono la “Psicomotricità Relazionale” di Lapièrre e la “Pratica Psicomotoria” di Aucouturier, due modelli di intervento che pongono al centro l’espressione e il vissuto corporeo del bambino, volendone sostenere lo sviluppo attraverso la mediazione di un corpo che si muove e agisce sull’altro e sull’ambiente. Divenne facile poter pensare che un simile approccio potesse essere inserito anche nei contesti educativi, al fine di recuperare il valore della corporeità anche all’interno del rapporto pedagogico.

Prima di definire chiaramente la Psicomotricità educativa e quella terapeutica, specifichiamo l’oggetto di studio di tale disciplina: il movimento. In esso si esprime l’unità psicosomatica della persona, in cui il piacere di agire e di muoversi nell’ambiente, si traduce in una relazione, in una comunicazione tra due o più soggetti.

Quindi, cosa differenzia la psicomotricità educativa-preventiva che generalmente viene inserita nelle programmazioni didattiche, da quella essenzialmente terapeutica, che ritroviamo in ambito clinico?

Nel contesto scolastico il bambino che partecipa all’attività psicomotoria si ritroverà insieme al gruppo dei pari, all’interno di un ambiente con diversi materiali: cuscini, cerchi, corde, teli, bastoni, costruzioni e tutto l’occorrente per disegnare o, più in generale, rappresentare. L’operatore coinvolto sarà l’educatore o l’insegnante, talvolta affiancato da uno psicomotricista, che hanno funzione di guida e facilitatore in quello che, nello sviluppo fisiologico, dovrebbe essere il passaggio del bambino dal piacere di agire al piacere di pensare. La presenza dell’adulto generalmente è discreta ed interviene nei momenti di difficoltà del singolo o in dinamiche che il gruppo non riesce a far evolvere spontaneamente.

In terapia psicomotoria si assiste alla creazione di un contenitore specifico per il singolo bambino che presenta una difficoltà o disturbo specifico che non permette un sereno adattamento all’ambiente e, pertanto, un’evoluzione spontanea delle diverse aree dello sviluppo psicomotorio. Il contenitore consiste in uno spazio generalmente preparato prima dell’incontro con il bambino e prevede una selezione di materiali e strumenti funzionali agli obiettivi terapeutici stabiliti; contenitore è anche la relazione che si crea tra terapista e bambino, che si conoscono e sperimentano all’interno di un tempo stabilito, nel quale sono inoltre presenti rituali specifici che facilitano l’inizio e il momento finale dell’incontro.

E’ bene considerare che un approccio non escluda l’altro, talvolta il bambino si ritrova a seguire entrambi i percorsi in parallelo con grande beneficio; è utile però conoscere a quale bisogno evolutivo si vuole rispondere e comprendere che gli operatori coinvolti nell’uno e nell’altro settore hanno competenze e specifiche differenti, che non possono essere interscambiabili.

Bibliografia

Pisaturo C. : Appunti di psicomotricità. La pratica psicomotoria nella clinica neuropsichiatrica dell’età evolutiva. Piccin Editore. 1996

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