ASCOLTO, IMPARO E... PARLO PIU' LINGUE!

10-10-19

Simona Boccuzzi, Logopedista

Avere genitori provenienti da culture differenti o essere immersi in ambienti bilingui rappresenta oggi, in Italia, un fenomeno sempre più frequente. Grazie alla multiculturalità, alla realtà delle scuole internazionali e ai cosiddetti ragazzi “Au Pair”, i nostri bambini si ritrovano sempre più spesso in contatto con una pluralità di codici linguistici oltre all’italiano.

Se da una parte il multiculturalismo e il plurilinguismo rappresentano una realtà ormai quotidiana in molte delle nostre famiglie, dall’altra sono ancora numerosi i dubbi che si affacciano alla mente dei neo genitori.

Quando iniziare con l’esposizione a più lingue? Esiste un modello di esposizione vincente? Il bilinguismo può essere causa di ritardo nello sviluppo del linguaggio? Il bambino può fare confusione tra le lingue?

Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza su alcuni piccoli dubbi.

Prima di tutto: quando possiamo definire un bimbo bilingue?

Un bambino è definito bilingue quando riceve un’esposizione costante a due o più codici durante tutto il periodo di sviluppo delle competenze linguistiche, quindi durante i primi anni di vita e nelle più disparate circostanze: ci sono bambini esposti sin dalla nascita a più codici, altri esposti successivamente, alcuni apprendono la seconda lingua in famiglia, altri ancora nell’ambiente scolastico. Quanto prima il bambino è esposto alle diverse lingue, quanto più, grazie alla maggiore plasticità neuronale, l’acquisizione della lingua sarà naturale e spontanea.

E quindi, di conseguenza: quando esporre il bambino a più lingue?

Il bambino è predisposto a sintonizzarsi sui suoni linguistici già durante la vita intrauterina; il neonato, infatti, possiede la capacità di discriminare lingue diverse sulla base del ritmo a partire dai due mesi di vita. Nessun timore, quindi, nell’iniziare sin da subito l’esposizione del bambino a più lingue. Prima è, meglio è! Questo non preclude la possibilità di esporre il proprio piccolo, con le dovute attenzioni, ad una seconda lingua anche successivamente, dopo l’acquisizione della prima.

Qual’è la migliore strategia?

La strategia familiare più utilizzata, condivisa e vincente per l’esposizione del bambino al plurilinguismo è “One Person, One Language”* in cui ciascun adulto (genitori, insegnante, ragazzo “au pair”) parla al bambino esclusivamente nella propria lingua nativa. Questo modello è valido anche quando entrambi i genitori parlano una lingua differente da quella della comunità in cui vivono o quando entrambi i genitori parlano la propria lingua madre e solo uno dei due anche quella della comunità. Data la regola, è possibile decidere nell’ambito familiare di avere poi una lingua comune a tutti da utilizzare in momenti di condivisione. Fondamentale sarà dunque che, le regole stabilite, siano poi seguite con costanza. A fare la differenza sarà però il tempo dedicato a ciascuna lingua: maggiore sarà l’esposizione alla lingua, migliore sarà la performance linguistica raggiunta dal bambino.

Il bambino plurilingue ha uno sviluppo linguistico diverso e/o più lento rispetto ai coetanei monolingui?

La maggior parte dei bambini plurilingui impara in tempi rapidi e senza sforzo eccessivo le lingue cui è stato esposto presentando uno sviluppo tipico del linguaggio. Se l’esposizione è precoce e simultanea, il bambino sarà in grado di discriminare sin dai primi giorni di vita i due sistemi linguistici (sulla base dell’intonazione) e imparerà lo stesso numero di parole e alla stessa velocità dei suoi coetanei monolingui. Attenzione però: il bambino bilingue non è “la somma di due monolingui”. Se da una parte, la velocità di acquisizione di suoni e nuove parole (totali nelle diverse lingue) sarà uguale a quella dei coetanei monolingui, dall’altra i bilingui possono presentare delle peculiarità nel loro linguaggio troppo spesso identificate come atipiche nell’evoluzione linguistica. È frequente che i bambini, così come gli adulti bilingui, mescolino all’interno della stessa frase suoni, parole o regole grammaticali che appartengono a tutti i codici cui sono stati esposti (influenze cross-linguistiche). Il bilingual Code-mixing (o code swicthing), normale nei bilingui sia bambini sia adulti appartenenti a culture diverse e lingue diverse, è spesso erroneamente considerato frutto di confusione tra le lingue nel bambino, generando timore nei genitori. Il “mixare” una lingua con l’altra per colmare le lacune lessicali o sintattiche rispecchia, in realtà, la flessibilità dei bilingui, che usano tutte le loro risorse linguistiche per soddisfare il bisogno di comunicare. Trassasi inoltre, non solo si flessibilità linguistica, ma anche di flessibilità cognitiva che sottende la capacità non solo di parlare ma anche di pensare secondo modelli verbali differenti.

Perché parlare la propria lingua nativa ai figli?

Parlare ai bambini nella propria lingua nativa non significa solo esporre il piccolo ad una realtà multilingue ma soprattutto passare, attraverso la lingua, la proprio cultura, le tradizioni tipiche del paese di provenienza e soprattutto le proprie emozioni. Canzoncine, ninna nanne, poesie e racconti creano un legame con le proprie tradizioni e rappresentano un ponte emotivo/affettivo molto forte. La lingua madre è soprattutto potente veicolo di emozioni, sentimenti e credenze; è la lingua con cui più spesso amiamo, sognano e ci arrabbiamo. A tal proposito, molti autori hanno evidenziato come gli aspetti emotivi delle lingue apprese all’inizio della vita mantengano una coloritura affettiva molto più intensa e una concretezza, un legame con gli oggetti che non si ritroverà nelle lingue apprese successivamente. La continua esposizione a codici linguistici differenti in tutte le occasioni di vita quotidiana permette al bambino bilingue un vantaggio cognitivo, oltre che linguistico ed emotivo, sul monolingue che invece avrà un’esposizione parziale e limitata a contesti specifici. Giocare con bambini bilingui o frequentare lezioni di lingua in periodo prescolare, può favorire l’acquisizione di un secondo codice, ma non potrà contribuire a sviluppare quel vantaggio cognitivo che può essere dato solo dall’essere “immersi” in contesti linguistici multipli.

De Houver, A. (2007). Parental language input patterns and children’s bilingual use. Applied Psycholinguistics, 28, 411 – 424.

S. Contento (a cura di), Crescere nel bilinguismo: aspetti cognitivi, linguistici ed emotivi Roma: Carrocci.

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