14-05-21
Cecilia Elena Preda, Medico Neuropsichiatra Infantile
Il Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività (ADHD, acronimo per l’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder, comunemente utilizzato anche in Italia) è uno dei più frequenti disturbi dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da due gruppi di sintomi o dimensioni psicopatologiche definibili come inattenzione e impulsività/iperattività.
L’esordio avviene in età evolutiva, nella maggior parte dei casi infatti si protrae nell’adolescenza e nell’età adulta, assumendo caratteristiche sintomatologiche differenti nel corso degli anni, comportando difficoltà relazionali, accademiche e professionali e spesso un grado elevato di stress personale e intra-familiare.
I tre sintomi, cardine -inattenzione, iperattività ed impulsività- possono manifestarsi in modo selettivo o combinato, dando luogo a diverse forme del disturbo e nello specifico:
- ADHD a prevalente componente inattentiva;
- ADHD a prevalente componente iperattivo-impulsiva;
- ADHD combinato (inattenzione ed iperattività/impulsività).
Si stima che l’ADHD sia presente in una percentuale variabile dal 3 al 9% della popolazione mondiale in età infantile: tale variabilità è legata prevalentemente al criterio diagnostico utilizzato. La prevalenza del disturbo è molto più elevata se, per la diagnosi, viene valutata solo la presenza dei sintomi cardine della malattia. Se si considera invece, come è necessario e prescritto dai sistemi diagnostici categoriali, anche l’impatto che tali sintomi hanno sulla normale funzionalità dell’individuo, si assiste ad una riduzione significativa dell’indice di prevalenza, che, se si includono solo le forme più gravi ed invalidanti, scende fino all’1%.
L’ADHD inoltre sembra essere più comune nei maschi rispetto alle femmine, anche se la prevalenza nelle bambine potrebbe essere sottostimata, poiché spesso nelle femmine prevale la componente disattentiva, meno eclatante e disturbante, mentre nei maschi prevale la componente impulsiva/aggressiva, che conduce più rapidamente alla valutazione diagnostica.
È essenziale distinguere la iperattività e disattenzione patologiche dagli aspetti caratteriali e personologici che possono essere simili, ma non configurano un disturbo. Tutti i bambini infatti possono presentare, in determinate situazioni, uno o più comportamenti caratterizzati da facile distraibilità, impulsività ed irrequietezza motoria. La ricerca delle novità e la capacità di esplorare rapidamente l’ambiente devono essere considerati comportamenti positivi dal punto di vista evolutivo e come tale stimolati e favoriti. Quando però tali modalità di comportamento sono persistenti in tutti i contesti (casa, scuola, ambienti di gioco), nella maggior parte delle situazioni (lezione, compiti a casa, gioco con i genitori e con i coetanei, a tavola, davanti al televisore, etc.) e costituiscono la caratteristica costante del bambino, esse possono compromettere le capacità di pianificazione ed esecuzione di procedure complesse, diventano interferenti il funzionamento generale e assumono connotazioni francamente patologiche.
Sintomi cardine:
- Inattenzione/facile distraibilità:
- Difficoltà a mantenere l’attenzione per tempi prolungati;
- Scarsa cura per i dettagli;
- Incapacità a iniziare il compito o a lavorare su uno stesso compito per un tempo prolungato;
- Vissuti di noia e stanchezza;
- Difficoltà a seguire consegne e istruzioni;
- Disordine e disorganizzazione;
- Perdita frequente di oggetti, vestiti, ecc.;
- Iperattività:
- Costante, eccessiva e non sempre finalizzata attività motoria;
- Gioco sempre motorio, caotico, rumoroso e disorganizzato.
- Impulsività:
- Cambiamento rapido da un’attività ad un’altra;
- Difficoltà ad aspettare il proprio turno;
- Tendenza a interrompere, parlare troppo, intervenire non sempre a proposito;
- Difficoltà nel contenere gli impulsi, vissuti di rabbia e discontrollo;
- Tendenza a mettersi in pericolo senza valutare le conseguenze delle proprie azioni;
- Difficoltà a posticipare la gratificazione e a lavorare per un premio lontano nel tempo;
- Difficoltà nella gestione delle emozioni.
Tutti questi sintomi non sono causati da un deficit cognitivo, ma da difficoltà nell'autocontrollo e nella capacità di pianificazione. L’incapacità a rimanere attenti ed a controllare gli impulsi conduce spesso i bambini con ADHD ad avere una minore resa scolastica ed a sviluppare con maggiore difficoltà le proprie abilità cognitive. Frequentemente questi bambini mostrano scarse abilità nell’uso e nella comprensione delle norme di convivenza sociale, in particolare nel cogliere gli indici sociali non verbali che modulano le relazioni interpersonali, con una significativa interferenza nella qualità delle relazioni. Il difficoltoso rapporto con gli altri, le difficoltà scolastiche, i continui rimproveri da parte delle figure di autorità ed il senso di inadeguatezza fanno sì che questi bambini sviluppino un senso di demoralizzazione e di ansia, che accentua ulteriormente le loro difficoltà. Mentre la normale iperattività, impulsività e instabilità attentiva non determinano significative conseguenze funzionali, i sintomi dell’ADHD determinano conseguenze negative a breve e lungo termine (Lineee Guida SINPIA, 2002).
L’ADHD presenta caratteristiche cliniche differenti a seconda delle diverse fasce d’età.
Scuola materna/primi anni della primaria:
- Non riordinano i giochi, non ricordano dove vanno presi e rimessi;
- Si muovono o agitano durante attività calme come mangiare o guardare la TV;
- Sono impulsivi e spesso motoriamente grossolani (rovesciano, cascano, si fanno male);
- Non chiedono il permesso di fare o prendere cose o giochi;
- Si arrabbiano facilmente e molto anche per motivi apparentemente futili.
Scuola elementare/media:
- Difficoltà scolastiche e accademiche;
- Disordine in casa, nei vestiti e negli oggetti;
- Tendenza a stare al centro dell’attenzione, farsi notare, disturbando gli altri e perdendo il focus sull’attività che stanno facendo;
- Lavori scolastici affrettati e poco controllati, con risultati inferiori alle potenzialità;
- Verbalizzazioni anche inadeguate senza pensare alle conseguenze;
- Lentezza e incompiutezza nelle attività;
- Necessità di ascoltare le stesse istruzioni più e più volte.
Adolescenti ed adulti:
- Difficoltà nel valutare le priorità nel lavoro e nelle attività quotidiane;
- Necessità di rileggere più volte o farsi rispiegare concetti anche semplici;
- Comportamenti rischiosi e non ponderati dal punto di vista sociale e personale;
- Dimenticanze nelle responsabilità personali e lavorative;
- Difficoltà relazionali e di socializzazione.
La diagnosi di ADHD è essenzialmente clinica e si basa sull’osservazione diretta e sulla raccolta di informazioni fornite da fonti multiple (genitori, insegnanti, educatori).
Il disturbo va sempre differenziato da: vivacità non patologica, condizioni legate esclusivamente a contesti sociali svantaggiati o esperienze traumatiche, atteggiamenti educativi incongrui, presenza di modelli sociali o familiari fortemente caratterizzati da impulsività.
Non esistono test diagnostici specifici per l’ADHD: i test neuropsicologici, i questionari per genitori ed insegnanti, le scale di valutazione sono utili per misurare la severità del disturbo, seguirne nel tempo l’andamento, individuare eventuali patologie associate e studiare i meccanismi neuro-biologici che ne sono alla base.
L’iperattività motoria, il disturbo dell’attenzione ed il comportamento impulsivo ed aggressivo possono essere peraltro anche sintomi di numerosi disturbi psicopatologici, per cui è sempre indispensabile fare attenzione se i sintomi di ADHD siano la prima causa delle difficoltà (ADHD primario) o siano correlati ad altre fatiche dello sviluppo (ADHD secondario):
- deficit sensoriali parziali (limiti uditivi o visivi);
- disturbi del linguaggio;
- disturbi dell’apprendimento;
- ipertiroidismo;
- disturbi dermatologici (ad esempio l’eczema);
- disturbi neurologici (come la corea di Sydenham, che può determinare una intensa iperattività);
- trascuratezza, abuso;
- alcuni farmaci (es. antiepilettici, farmaci cardiovascolari…).
In questo caso spesso i sintomi si presentano solo in alcuni momenti o contesti.
Per esempio frequentemente le difficoltà attentive e l’iperattività/impulsività presenti solo in contesto accademico, che non interferiscono invece con le relazioni sociali, lo sport, il rispetto delle regole e la regolazione emotiva, possono essere secondari a disturbi dell’apprendimento non riconosciuti, che espongono il bambino a una tensione scolastica troppo rilevante, con vissuti di bassa autostima e scarsa efficacia, portandolo a sviluppare sintomi simil-ADHD, che, risultando più eclatanti delle fatiche di apprendimento, vengono erroneamente considerati prevalenti.
La terapia per l’ADHD si basa su un approccio combinato e individualizzato, che coinvolga appieno genitori, insegnanti e lo stesso bambino.
L’approccio psicoeducativo prevede terapie specifiche che lavorino sugli aspetti neuropsicologici, le funzioni esecutive, la pianificazione e il controllo comportamentale ed emotivo.
Indispensabile è anche il lavoro di rete con i genitori per la buona gestione degli aspetti educativi intra-familiari, nonché con la scuola e gli insegnanti per favorire la regolazione in ambiente accademico e la relazione con i pari.
La terapia farmacologica si basa prevalentemente sull’uso di molecole che appartengono alla categoria degli psicostimolanti: questi agiscono sui trasportatori per le monoamine, modulando la quantità di dopamina e di noradrenalina presente nello spazio intersinaptico. Gli effetti positivi sul comportamento sono rapidi ed intensi con un miglioramento sia di iperattività ed inattenzione, che delle risposte ai test neuropsicologici mirati a misurare le capacità di attenzione, vigilanza, apprendimento visivo e verbale e memoria a breve termine.
Negli Stati Uniti, dove l’utilizzo degli psicostimolanti è pratica accettata da decenni, le linee guida raccomandano l’utilizzo degli psicostimolanti in tutti i casi di ADHD moderato o severo, in associazione agli altri interventi psicoeducativi.
In Europa, dove le attitudini cliniche e le restrizioni legali hanno limitato l’uso degli psicostimolanti, le linee guida cliniche raccomandano un primo intervento basato su interventi comportamentali, terapia cognitiva, terapia familiare, supporto per gli insegnanti; solo successivamente e nei casi più severi viene valutata l’utilità di una terapia farmacologica di supporto.
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