RIFLESSIONI SULLA SALUTE MENTALE DEI PICCOLI IN CORSO DI PANDEMIA

21-01-21

Cecilia Elena Preda, Medico Neuropsichiatra Infantile

Ci troviamo attualmente in una situazione pandemica che dura, con alti e bassi, più o meno da un anno. 

Per riflettere insieme sui contenuti psichici di questa situazione, credo sia utile suddividere quanto è accaduto e sta accadendo, sia da un punto di vista concreto che da un punto di vista mentale e psichico, in due macro momenti: un primo momento acuto/emergenziale, che possiamo configurare da febbraio 2020 all’estate, e un secondo momento, che potremmo definire cronico/a lungo termine, dall’estate ad oggi.

Quando a febbraio dell’anno scorso ci siamo trovati, inaspettatamente e con estrema rapidità, in una situazione pandemica, mai prima d’ora nemmeno immaginata, abbiamo dovuto affrontare una realtà in cui prevalevano gli aspetti di emergenza, novità, sensazione di inatteso e sconosciuto. Questi vissuti hanno colpito tutti, indipendentemente dall’età e dalla situazione personale, scolastica o lavorativa. L’emergenza in acuzie ha portato con sé non solo vissuti negativi, pessimistici, angoscianti, ma anche contenuti fortemente adrenalinici, basati anche sulla curiosità, sulla sua sperimentazione di nuovi equilibri, sull’isolamento sociale ma anche sulla riscoperta dei legami familiari. 

Intorno alla metà dell’aprile del 2020, ho condotto una piccola ricerca su circa una cinquantina di bambini di età compresa tra i 5 e i 10 anni, per approfondire per quanto possibile in remoto il vissuto dei nostri figli in un momento storico talmente complesso. La richiesta ai bambini è stata molto semplice: riflettere su quale fosse la cosa più bella e quale la meno bella del periodo di Lockdown.

Gli elementi principali emersi da questi piccoli colloqui sono stati di fatto molto omogenei, potenzialmente riassumibili in cinque punti principali. 

- La riscoperta della famiglia, in una veste mai sperimentata prima (questo ha avuto una importanza per tutti gli elementi del nucleo, non solo per i più piccoli). 

- Una diversa gestione del tempo, per i bambini più agevole e ritagliata rispetto alle proprie spontanea necessità. 

- Un vissuto rispetto allo spazio piuttosto diverso da quanto emerso dai media, in cui i bambini hanno potuto riscoprire all’interno della casa, per quanto in situazioni logistiche e organizzative molto eterogenee, una situazione di sicurezza e di confine che ha potuto garantire una corrispondente sicurezza interna. 

- Gli elementi legati al gioco inoltre sono stati sostanziali, in quanto l’organizzazione di isolamento all’interno della casa ha richiesto di modificare alcuni pattern, di stimolazione o anche iper stimolazione esterna, molto comune nella nostra società odierna. Riscoprire la dimensione del gioco senza eccessivi stimoli esterni e senza strumenti strutturati e definiti da una serie di regole, ha permesso di sperimentare aspetti di noia e dalla noia aspetti di creatività, basati sull’uso della fantasia e del gioco simbolico, non mediato da attrezzi o materiali iper organizzati dall’esterno.

- Sicuramente il punto fragile è stata la parte riguardante la relazione con i pari e con gli amici, emersi soprattutto nei bambini più grandi come l’elemento mancante e di maggiore desiderio. In questo senso il desiderare una relazione di uno scambio amicale reale e non mediato dallo schermo per i ragazzini più grandi è stato un avere propria sperimentazione di crescita ed emancipazione in cui il bisogno relazionale che normalmente viene esaurito con le figure genitoriali o di primaria importanza affettiva, si è trasformato in desiderio di relazioni altre e diverse, che di fatto rappresentano un passaggio evolutivo estremamente importante.

In questo primo periodo i bambini hanno manifestato sintomi, se presenti, più coerenti con la situazione e di fatto omogenei: paure, fobie, vissuti di ansia sia mentali che con tutte le correlazioni somatiche del caso (palpitazioni, fatica respiratorie, sensazione di stanchezza mentale fisica) disturbi del sonno. Sintomi che potremmo definire attesi e condivisi anche con la famiglia e l’adulto di riferimento.

In questo primo periodo, inoltre, l’emergenza ha portato con sé vissuti adrenalinici non solo sul piano personale ma anche e potentemente sul piano del gruppo e della società, in una situazione di condivisione che è stata emotivamente estremamente suggestiva per tutti: gli inni, la musica dai balconi, gli applausi ai medici, le bandiere con gli arcobaleni, hanno riportato aspetti di solidarietà e di commozione che hanno sicuramente alleviato i vissuti di angoscia personale.

Dall’estate in poi invece ci siamo ritrovati in una situazione, a mio parere, con delle importanti differenze rispetto al passato: la situazione non più emergenziale ma comunque di urgenza sanitaria, è diventata oggi una situazione nota, in cui le difficoltà nella routine sono ben conosciute, in cui ci trasciniamo da mesi stanchezza e solitudine che sono diventate di fatto abitudinarie. 

Il tema della non programmabilità rispetto alle necessità e ai desideri personali e delle famiglie (lavorative, ludiche, di viaggio, di intrattenimento) restano una costante che ulteriormente affatica sia il singolo che la società. 

In questo quadro, sicuramente e giustamente, le priorità emergenziali ed epidemiologiche hanno prevalso sugli aspetti legati alla salute mentale, che in questo senso diventeranno purtroppo rilevanti più a lungo termine. Alcuni studi confermano che gli esiti di situazioni analoghe a quella che abbiamo vissuto nel 2020 e che stiamo ancora oggi vivendo, si possono manifestare estremamente in differita, anche con anni di ritardo.

Se ieri quindi, questi sintomi erano più sul versante ansioso/fobico con prevalenza delle difficoltà organizzative per le profonde modificazioni lavorative e scolastiche che hanno impattato su tutte le famiglie, oggi e in futuro i sintomi che hanno che fare con la salute psichica sono e saranno sicuramente più eterogenei e differenziati, non solo in relazione a vissuti di tipo ansioso/depressivo, ma anche con espressioni cliniche differenti: tic, alterazione delle condotte vegetative, disturbi della regolazione e del comportamento, comportamenti regressivi, dipendenza da schermo, ritiro sociale.

La ripresa della scuola in maniera così incostante, nonché l’assenza di un equilibrio scolastico per i ragazzini più grandi è un elemento di grave fatica e di potenziale rischio futuro. Questo non riguarda solo gli aspetti didattici che sono importanti ma recuperabili, sebbene con maggiore fatica nei ragazzini e nei bambini con fatiche specifiche (penso alle difficoltà di apprendimento, all’iperattività, alle difficoltà attentive, per le quali i ragazzini sono chiamati a fare già tanta fatica in un contesto normale).

Penso la scuola non solo come un contenitore didattico, sebbene questi aspetti siano sicuramente di grande importanza, ma come un contenitore prioritariamente educativo. L’educazione deve ad oggi essere intesa come la reale priorità, perché l’educazione cambia il modo di apprendere in generale il funzionamento del mondo e le strategie relazionali. In questo senso sono documentati effetti diretti sul sistema nervoso centrale, sulla gestione delle emozioni e conseguentemente sul comportamento: se questo manca, cambia la attrezzatura interna con cui possiamo andare nel mondo: le competenze sociali, il Self control, le capacità deduttive e induttive la resilienza sociale. 

La relazione con i pari, non solo in contesto scolastico, ma anche ludico e sportivo, serve a crescere, a confrontarsi con il diverso, a uscire dalla “confort zone” che di fatto è l’unico modo per fare passi evolutivi. 

In questo senso possiamo dire che i costrutti relazionali diventano strategie comportamentali. 

La scuola quindi deve puntare oggi e potentemente anche su questo, per crescere bambini e ragazzini più allenati: in questo momento è come se dal punto di vista delle relazioni sociali e del confronto con l’altro i nostri figli (ma in realtà anche noi) sperimentino di essere meno allenati. Se si è meno allenati, come nello sport, si è meno attrezzati e quindi ci si sente più esposti e in pericolo, sperimentando di fatto quella sensazione di perdita di controllo che è la base di molte fatiche psichiche, e che oggi si estrinseca in una situazione che prima ci era ben nota, cioè quella della socialità quotidiana. 

In questo senso, a mio parere, quel senso di solidarietà che aveva accomunato e alleviato le fatiche nella prima parte del Lockdown, attualmente si è un po’ perso, in una relazione con l’altro che oggi è definita, complici anche le mascherine e le preoccupazioni di igiene e pulizia, più che giuste e indispensabili, da vissuti di dubbio, paura, fatica nell’avvicinamento, sia concreto che mentale.

La distanza obbligata, la copertura del viso, rappresentano elementi di complessità nell’analisi relazionale ed emotiva, soprattutto per i bambini più piccoli dove ancora non è del tutto sviluppata la rappresentazione del mondo e del sé attraverso il canale verbale, ma prevalgono aspetti di corporeità e manipolazione che si sono purtroppo necessariamente perduti. 

Gli studi sui neuroni specchio ci dicono quanto essenziale sia l'osservazione del viso dell'altro nella modulazione, interpretazione e condivisione emotiva, in quel meccanismo di "simulazione incarnata", atavico e magico, che costruisce la nostra abilità e competenza interelazionale.

In questo senso non siamo digiuni solo degli abbracci e della corporeità condivisa e perduta, ma anche di uno strumento eccezionale e indispensabile per la sintonizzazione emotiva e per la condivisione empatica del vissuto, tanto utile e affettivamente soddisfacente per l'adulto, quanto indispensabile per il bambino piccolo.

Restando sul tema fondamentale della reciprocità relazionale, penso inoltre alla fatica che prepotentemente emerge in noi adulti, genitori, insegnanti, nonni, in ogni caso riferimenti normativi e identitari dei bambini e dei ragazzi. Questa fatica si estrinseca non solo nelle difficoltà quotidiane figlie di questo tempo (convivenze obbligate, mancanza di aiuti, difficile conciliazione della vita lavorativa e famigliare) che certamente appesantiscono e rendono la vita di tutti i giorni meno piacevole, ma anche nelle possibili fatiche emotive di noi adulti: la paura della morte, la perdita delle persone care, il senso di caducità e di incertezza. Questo, pur esistendo anche prima del Covid, si è sicuramente esasperato, trasformandoci in adulti più fragili, dubbiosi, sofferenti e indebitamente meno in grado di rispondere con confini emotivi rassicuranti e ben definiti alle domande esistenziali, implicite ed esplicite, che ci vengono poste. Abbiamo noi per primi dovuto costruirci nuovi equilibri, nuove identità, spesso con fatica, a volte con stupore, ma di nuovo e ancora caratterizzate dalla imprevedibilità. La sensazione è che in qualche modo possa venir meno quella sensazione di sicurezza adulta cui i nostri figli sono stati certamente più avvezzi. Chi perde un familiare, un amico, chi ha paura per la propria salute e la propria vita è un essere umano sofferente, che si trova a dover mantenere il ruolo genitoriale o educativo e al contempo a dover gestire emotività negative che ci rendono tanto umani ma altrettanto esposti e inermi di fronte ai nostri piccoli. In questo senso dobbiamo arrenderci al fatto che le nostre debolezze e fragilità sono parte della vita e come tali si possono condividere e spiegare, con toni e modi corretti, così che anche i temi legati a morte, malattia e sofferenza, non appaiano da negare e nascondere, ma integrabili e comprensibili. In questo modo anche le nostre umanissime e inevitabili fragilità possono diventare una occasione di crescita e di costruzione di una immagine genitoriale, e quindi identitaria, non infallibile ma resiliente. Ricordiamoci sempre che i bambini sono recettivi e sensibili e quindi in grado di cogliere anche tutti gli aspetti del nostro sentire che abbiamo dentro ma ci neghiamo di mostrare. 

Viviamo in tempi complessi ma la storia è evolutiva e non sarà come nei libri una pagina da girare, man mano costruiremo nuove abitudini di vita e su queste modelli di funzionamento, che diventeranno radicati e quindi la base di nuove quotidianità. Non succederà, quindi, come dicono i bambini, che “finirà il Covid”, ma anche il Covid diverrà parte delle nostre storie, nella prima vera identificazione della storia globale e personale dell’epoca contemporanea. 

Confidiamo nel progresso scientifico, nella vaccinazione e nella responsabilità individuale che mai come in questo momento è la base della vita di comunità. Anche questo un enorme insegnamento per i nostri piccoli.

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